«Di Berlino ricordo le bandiere           naziste, i saluti romani e io che                   saltavo come un diavolo»

 

Gretel Bergmann, grande esclusa ai Giochi Olimpici di Berlino 1936, è morta il 25 luglio 2017 nella sua casa del Queens. Aveva 103 anni

 


Nel 1931 il Comitato Olimpico scelse Berlino come location per la successiva edizione dei giochi.

Due anni dopo, nel 1933, il Partito Nazista salì al potere in Germania.

Guardando ai giochi olimpici come a un’occasione per promuovere l’immagine del Reich e affermare la superiorità della razza ariana, Hitler fece chiamare i migliori atleti del paese e, in accordo con le sue idee, si dichiarò intenzionato a escludere dalla competizione tutti gli atleti di origine ebrea e africana. 

Ciò spinse le altre nazioni, in particolare gli Stati Uniti, a boicottare i giochi, invitando i propri team a non partecipare.

Temendo che il boicottaggio avrebbe messo in dubbio la credibilità dell’Olimpiade, il cancelliere ammorbidì la propria posizione.

Ebrei e neri sarebbero stati ammessi, la Germania non avrebbe discriminato gli atleti in base alla loro etnia.

 

Le Olimpiadi di Berlino del 1936

Per mostrarsi in buona fede di fronte alla stampa straniera, Hitler chiamò dall’Inghilterra Gretel Bergmann, giovane promessa dell’atletica di origine ebraica.

La ragazza era stata inviata all’estero già da qualche anno.

Il padre temeva il clima antisemita che si andava formando in Germania.

Per riportarla nel Paese fu necessario minacciare la sua famiglia.

Gretel Bergmann tornò in Germania, e fu iscritta nella squadra olimpica di salto in alto.

Nel 1935 vinse la medaglia d’oro ai giochi di Württemberg.

L’anno seguente eguagliò il record tedesco nella sua specialità, saltando un metro e sessanta.

Soltanto un mese prima dell’inizio delle Olimpiadi, nel giugno 1936, Bergmann fu licenziata dal team. Nella lettera che ricevette, le era imputata una cattiva performance.

Un’accusa strana, perché rivolta alla migliore atleta tedesca vivente.

Il vero motivo dell’esclusione era, ovviamente, la sua origine.

Bergmann capì di aver fatto il gioco della propaganda, che voleva presentare la Germania come una nazione equa e tollerante.

Alle Olimpiadi, nessuno eguagliò il suo record.

Se avesse partecipato avrebbe probabilmente vinto la medaglia d’oro.

In un articolo pubblicato sul New York Times nel 1996 viene riportato questo suo commento: «Ricordo tutte le bandiere naziste e gli ufficiali rigidi nel saluto romano e io che saltavo come un diavolo. Ho sempre dato il meglio quando ero arrabbiata. Mai saltato meglio.»

 

La vita negli Stati Uniti

Gretel Bergmann riuscì a lasciare la Germania nel 1937, e si trasferì negli Stati Uniti.

Con meno di 10$ in tasca arrivò a New York, dove trovò lavoro come donna di servizio.

Decisa a non mettere più piede nel suo paese d’origine, continuò ad allenarsi con la squadra americana in vista della successiva edizione dei Giochi Olimpici.

Nel 1940, in piena Seconda Guerra Mondiale, rinunciò allo sport per tentare di far scappare i propri genitori dalla Germania.

Riabilitata in più di un’occasione dal Comitato Olimpico e dallo stato tedesco,

il suo record – precedentemente cancellato dai nazisti – è stato ripristinato.

Nel 1999 le è stato dedicato lo stadio della cittadina di Laupheim in cui era solita allenarsi da bambina.

In quell’occasione, tornando in Germania dopo sessant’anni, ha affermato: «Quando i bambini chiederanno «Chi era Gretel Bergmann?» verrà raccontata loro la mia storia, e la storia di quell’epoca.

Sento che ricordare è importante, dunque ho accettato di ritornare nel posto dove avevo giurato di non mettere più piede».

Gretel Bergmann è morta nella sua casa newyorkese martedì 25 luglio 2017, all’età di 103 anni.

La notizia è stata riportata dal New York Times.